sabato 7 marzo 2015

Il dialogo - Parte 1

Oggi voglio buttare giù due appunti su di un argomento per me ostico: il dialogo. Come si costruisce un buon dialogo? Intanto bisognerebbe capire quali sono i buoni dialoghi.
Vediamo un po’.

Dialogo: brano 1)
"Papà ha investito la puzzola proprio in questo punto."
"È stato più avanti."
"Non importa dov'è stato" disse Joe senza voltare la testa. "Un posto vale l'altro quanto si tratta d'investire una puzzola."
"Ho visto due puzzole, ieri sera" disse Nick.
"Dove?"
"Giù, vicino al lago. Cercavano pesci morti lungo la spiaggia."
"Probabilmente erano dei procioni" disse Carl.
"Erano puzzole. Le conoscerò, le puzzole, no?"
"Dovresti" disse Carl. "Ti sei trovato una ragazza indiana."
"Non parlare così, Carl" disse la signora Garner.
"Be', hanno più o meno lo stesso odore."
Joe Garner scoppiò in una risata.
"Smettila di ridere, Joe" disse la signora Garner. "Non voglio che Carl parli così."
"Ti sei trovato una ragazza indiana, Nickie?" chiese Joe.
"No."
"Sì, papà" disse Frank. "Prudence Mitchell è la sua ragazza."
"Non è vero."
"Va a trovarla tutti i giorni."
"Non è vero." Nick, seduto tra i due ragazzi nell'oscurità, si sentiva vuoto, dentro, e felice al tempo stesso, all'idea che lo stuzzicassero su Prudence Mitchell. "Non è la mia ragazza" disse.
"Sentilo" disse Carl. "Io li vedo insieme tutti i giorni."
"Carl non riesce a trovarsi una ragazza" disse sua madre "nemmeno una squaw."
Carl non disse nulla.
"Carl non ci sa fare con le ragazze" disse Frank.
"Taci, tu."
"Hai ragione, Carl" disse Joe Garner. "Le ragazze non hanno mai fatto fare a un uomo molta strada. Guardate vostro padre."
"Sì, questo lo dici tu" disse la signora Garner, stringendosi a Joe mentre il carro sobbalzava. "Be', una volta eri pieno di ragazze."
"Scommetto che papà non si sarebbe mai messo con una squaw."
"Lasciamo stare" disse Joe. "Meglio che tu tenga gli occhi aperti se non vuoi perdere la tua Prudie, Nick."
Foto-di-una-puzzola-su-vanillasnotes


Dialogo: brano 2)
“Ciao. Come stai?” la interrogò la voce all’altro capo del telefono.
“Bene. Meglio. Grazie” rispose.
“Meno male. Mi dispiace che tu l’abbia presa così”
“Non ti preoccupare, non è colpa tua. È che non me l’aspettavo. Pensavo che sarei stata in grado di affrontare la… situazione, invece mi ha preso un senso incredibile di solitudine, mi sono sentita persa e usata. È orribile sentirsi stupidi e feriti a morte. Non riuscire a reagire fino al punto di non reggersi più in piedi. Sono così arrabbiata con me stessa! Non sono capace di buttarmi tutto dietro alle spalle semplicemente”
“Anche a me è capitata la stessa cosa un paio d’anni fa. Ti ricordi?” continuò Carolina.
“Sì, ma fino a quando non lo provi sulla tua pelle, non ci credi, non lo capisci, pensi che a te non succederà mai perché pensi di essere meno coinvolta, pensi di essere indipendente e che potrai benissimo vivere la tua vita anche senza l’altra persona, ma…”
“Ma, in realtà è proprio così. È solo questione di tempo. Il tempo guarisce tutto. Fidati e ti assicuro che ricorderai i momenti passati con tanta tenerezza e neanche più un briciolo di rancore. Te lo assicura una persona che l’ha già vissuta questa cosa”
“Sì. Non vedo l’ora che passi abbastanza tempo per poter dire: ‘ok, è andata. Ce l’ho fatta!’”
“Capiterà senza che tu te ne accorga. Una bella mattina ti sveglierai e ti accorgerai che lui non è più nei tuoi pensieri, ha lasciato per sempre le stanze della tua mente e…”
“E sarà tutto più semplice. Devo solo lasciarlo andare, lasciarlo annegare nel mare dei miei pensieri, ricordi, sofferenze. Non devo salvarlo in continuazione da questo oblio. Devo lasciarlo sparire tra i flutti della tempesta che ho dentro”
“Wow. Mi spaventi a volte. Quasi poetica è ‘sta roba che hai detto! Dovresti scriverne un libro. Pensaci”
“Già, per ora sto solo riempiendo le pagine del mio diario con delle invettive contro di lui! Se l’avessi tra le mani adesso lo strangolerei! E per fortuna mi sono trovata un lavorino part time, altrimenti aiuto, sempre a rimuginare su questa cosa!”

Foto di iniezione su vanillasnotes
Dialogo: brano 3)
-La sua assicurazione,-disse subito il medico. -La conosciamo, ma ho fatto un paio di telefonate per essere sicuro. È schifosa.
-Quale delle due intende?
-Tutte e due. Quella della piattaforma petrolifera pagherà di più a lungo termine, ma il problema è il breve termine. L'altra polizza è ancora peggio. Pura merda di cane. Capisce, questa è una faccenda ambulatoriale. Un'iniezione, poi lei va a casa. Torna qualche giorno dopo, per un controllo e un'altra iniezione, e così via. Ma se facciamo così, la polizza le garantisce solo una deduzione fiscale di cinquecento dollari.
-Costerà tanto?
-Quando avremo finito, probabilmente il costo sarà maggiore. Non è che costi tanto, in realtà. È farlo in un ospedale che lo rende più caro. Inoltre, trattandosi di un'ospedale di una piccola città, è ancora peggio.
-Allora perché non l'abbiamo fatto da lei?
-Le ho già spiegato il perché. Ascolti, quello che dobbiamo fare è ricoverarla per alcuni giorni qui al Medical Hilton.
-Ma non costerà di più?
-Certo. Molto di più. Ma se facciamo così, la polizza del lavoro le pagherà l'ottanta per cento. E anche l'altra le darà qualcosa.
-Quella che è pura merda di cane?
-Esatto.
-Mi sta dicendo che l'assicurazione non paga se io mi curo qui e vado a casa, mentre pagherà se resto in ospedale e il tutto costerà molto di più?
-Finalmente ci è arrivato. Tra le due polizze, alla fine dovrà pagare soltanto qualche centinaio di dollari, deducibili dalla dichiarazione dei redditi. Le due polizze potrebbero anche sovrapporsi e coprire completamente il suo ricovero, ma ne dubito. Dovrà comunque pagare qualcosa di tasca sua. È così che funzionano le assicurazioni e la professione medica.
-Io credo che lei stia cercando di manipolarmi per prendere più soldi dalla mia assicurazione, se vuole saperlo.
-Considerando tutto quello che mi deve per cure mai pagate, suppongo che dovrà rassegnarsi.
-Quanto tempo devo restare in ospedale?
-La polizza funziona...
-Quella del petrolio o la merda di cane?
-Tutte e due. Direi sette, otto giorni al massimo.

Un mio autografo con dedica (!!) a chi scopre in tre secondi l’intruso. 3, 2, 1… ebbene sì il brano n. 2 è una perla (nemmeno tanto rara) scritta da me qualche tempo fa (ehi, precisiamo un BEL po' di tempo fa. Va bè, ci ho provato...).

Il brano n. 1 è di Hemingway ed è tratto dal racconto "Dieci indiani" ne "I quarantanove racconti" (Mondadori) e il brano n. 3 è di Joe R. Lansdale "Bad Chili" (Einaudi).
Il brano n.2 contiene quasi tutti gli errori che si possono infilare in un dialogo!
Su certi manuali di scrittura creativa si trova questa regola: il dialogo deve contenere ciò che serve, niente di più e niente di meno.

Ordunque non devo inserire TUTTO nel dialogo?

“Ciao, come stai?”
“Bene e tu?”
“Non c’è male. Ci sediamo qui all’ombra?”
“Sì, perchè no?”
“E tua sorella dove l’hai messa?”
“Oh, lo sai com’è lei, sempre in ritardo. Dovrebbe arrivare a minuti. Ma dimmi, perché hai chiesto di vederci?”
“Ma così, l’altro giorno sfogliavo un album di vecchie fotografie e mi è balzata all’occhio la foto di classe di quinta liceo”
“Oddio, quella dove avevo l’apparecchio ai denti e gli occhiali?”
“Dai, non stavi per niente male”
“Guarda che ti si allunga il naso”

Quanti hanno resistito e sono arrivati a leggere fino a qui? Nessuno, vero?
Il problema più evidente qui (a parte quelli mentali della scrittrice…) è che questo cappero di dialogo è noiosissimo, non porta a niente, gira attorno alla questione come un aereo in attesa sopra all’aeroporto. E quand’è che si atterra?!
Per migliorarlo si potrebbe tentare di asciugarlo il più possibile (a monte deve esserci però ben scolpita nella testa dello scrittore “dove vuole andare a parare con il dialogo”; non può essere un riempitivo).
Foto di caffè su un tavolino da bar su vanillasnotes

Ci sedemmo all’ombra, in attesa che quella ritardataria cronica di mia sorella ci raggiungesse.
“L’altro giorno mi è capitata tra le mani la foto di quinta liceo”
“Io l’ho bruciata” dissi “avevo l’apparecchio di Frankenstein ai denti e gli occhiali da talpa”
“A me non dispiaceva”
In quel mentre notai mia sorella sull’altro lato della strada.

Meglio? Forse sì, spero si capisca almeno la buona intenzione (che poi sia da buttare anche la seconda versione, be' niente da dire). In sostanza un buon dialogo può fare a meno di tutti i convenevoli che si usano normalmente nel vissuto quotidiano (i “Ciao-come stai?-Bene-E tu?-Non c’è male, grazie” ecc.) perché i lettori non sono scemi e capiscono benissimo che lo scrittore ha evitato di tediarli con righe e righe di parlato del tutto inutili ed è andato diretto al sodo della questione.

E da qui scaturisce anche un altro punto fondamentale: il dialogo deve far progredire la storia. Non può essere solo un intermezzo pubblicitario tra una descrizione e l’altra. Di solito quando c’è la pubblicità cambio canale o spingo il tasto “mute”. In poche parole il dialogo deve essere asciutto e indispensabile per la storia, altrimenti va riscritto o eliminato del tutto.

Un altro problema dei dialoghi è che le battute di ogni personaggio devono essere “riconoscibili” come pronunciate da QUEL personaggio. In teoria estrapolando tutte le battute dei vari personaggi, rimescolandole senza che sia indicato chi è il personaggio che le pronuncia, dovremmo essere in grado di assegnare in modo corretto le battute del personaggio A ad A e le battute del personaggio B a B. Se questo non è possibile, significa che abbiamo dato al personaggio A e al personaggio B la stessa, medesima, identica, schifosa, banale voce. E questo è un difetto. Perché dare a tutti i personaggi la stessa voce significa non caratterizzare nessuno, significa servire una minestra insipida.

Ogni personaggio dovrebbe parlare con la sua propria voce, suoi propri vocaboli, suoi propri modi di dire (o non dire) e anche dal dialogo, o meglio dalle sue battute, dovrebbe trasudare la sua personalità. Altrimenti i personaggi saranno tutti uguali, a due dimensioni, poco distinguibili gli uni dagli altri. E rendere al meglio questa cosa è di estrema difficoltà... usando solamente quattro battute in croce di un dialogo.

Bene, non ho di certo esaurito l’argomento. Sono solo due appunti. Proseguo nello studio e quando ho qualche novità, corro ad appuntarla qua sul blog.

Vanilla

Bibliografia e approfondimenti
Ernest Hemingway "I quarantanove racconti" Mondadori 
Joe R. Lansdale "Bad Chili" Einaudi

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